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Immaginario Festival: Il Sabba di Rai Tre

Immaginario_festival_1Serata dedicata al periodo 87-94 della terza rete. Santoro: «Non siamo sopravvivenze! Il reality ha perso!»

Michele Santoro, Gad Lerner, Enrico Deaglio, in collegamento Fabio Fazio accompagnato a sorpresa da Roberto Saviano, tutti insieme per onorare Angelo Guglielmi, il direttore che dal 1987 al 1994 trasformò la terza rete nella cenerentola della televisione italiana.

Più che una celebrazione, un “sabba” come lo definisce il moderatore d’eccezione, Luca Telese. Una serata memorabile in un Teatro Morlacchi gremito da un pubblico caloroso, pronto a dare merito ad un periodo di libertà, di creatività mai più vissuto nella televisione italiana. Ricordare un periodo di sana TV, ma anche commentare e fare un punto della situazione in questo momento politicamente turbolento dove trasmissioni come Samarcanda o Profondo Nord, forse non troverebbero più spazio. Santoro commenta così quel periodo fatto di sperimentazioni e di disordine dopo la proiezione di alcuni brani di Samarcanda con protagonisti importanti allora e monumentali adesso come Giovanni Falcone o Libero Grassi: «È proprio questa casualità del mezzo televisivo che noi abbiamo imparato a conoscere, cioè il fatto che la televisione sostituiva anche noi stessi che la facevamo. Più noi ci abituavamo a non programmare i risultati della nostra televisione, più la televisione diventava rivoluzionaria rispetto all’ordine esistente».

Lerner aggiunge poi: «Già vent’anni dopo, ma ancor più in futuro, il lavoro di Michele Santoro verrà messo in relazione col Neorealismo italiano degli anni 50-60 in cui la capacità di raccontare e interpretare il sentimento popolare di questo paese avrà bisogno degli sguardi che poi lui ha sviluppato, che diventeranno Sciuscià e che oggi sono le immagini che io non sono capace di fare e non ho mai fatto, avendo un cervello costruito sul racconto della carta stampata con le parole che abbiamo trasferito nel linguaggio della rappresentazione teatrale; qualcosa che oggi non si potrebbe più fare, perchè il 90% degli italiani è disposto a recitare se stesso: se lo metti di fronte alla telecamera ti risponde per una frase fatta o per ciò che vuole apparire. Nei primi anni 90 c’era ancora quell’innocenza, verginità e felicità di raccontarsi per quello che si era».

Saviano, vista l’età, non ha pienamente vissuto quell’epoca ma ne ha appreso la lezione : «Per me è stato bello poter pensare che un giorno potrà esserci una Rai in continuità con quei temi e quel talento. Per la prima volta si guarda al futuro con un passato di concretezza».

Con i due “neorivoluzionari”, Saviano e Fazio, nasce spontanea una discussione sullo stato attuale della libertà nella televisione e sulle critiche mosse nei loro confronti per la trasmissione, Vieni via con me: «…Noi stiamo facendo un racconto, una narrazione – ha commentato Fazio- . Tutti coloro che non si riconoscono nelle cose che diciamo pretendono una replica: viene fuori che è quasi intollerabile nel nostro paese che oggi la TV di Stato possa ospitare un’opinione; che una trasmissione possa contenere A senza contenere il non A. Se ad un segno negativo immediatamente metti un segno positivo il risultato è zero… Vogliamo rivendicare il nostro diritto di essere contemporanei e la contemporaneità pretende sia affermato anche il punto di vista che non deve essere necessariamente condiviso, ma che deve essere esposto». «È stato doloroso vedere il fraintendimento– ha aggiunto Saviano –. Tenere lì le diverse opinioni spesso significa non poterne approfondire neanche una. Questo non significa condividere poi le posizioni, si deve anche contestare…Pensare che un monologo possa essere addentrabile è terribile, tuttalpiù si può approfondire».

Il successo della trasmissione Vieni via con me, che ha macinato ascolti incredibili sconfiggendo l’invincibile Grande Fratello ha origini nel cambiamento sociale e nella necessità di ascoltare una opinione univoca come sottolinea Lerner: «L’agorà ha cambiato formula perché l’Italia è cambiata… la trasmissione di Fabio e Roberto è venuta come una rottura, perché ha rotto lo schema del contradditorio e questa necessità di un gioco della parti, mentre corrisponde a un bisogno profondo di testimonianza che c’è in questo paese… È un’esigenza del paese di ascoltare due esmplari che contrastano col degrado dei comportamenti pubblici». A lui si associa Santoro: «Il reality non ha vinto…veniamo da una stagione televisiva e politica che ha dimostrato la sconfitta del reality e questa è una vittoria che vede coinvolti due protagonisti: il pubblico e alcuni testimonial che hanno saputo raccogliere l’invito alla resistenza».

Guglielmi confessa che fu proprio sulla rottura di linguaggi porata dal Fantastico di Celentano e dal Portobello di Tortora che decisero di raccontare la realtà in maniera del tutto innovativa: «Non dobbiamo dimenticare che una programmazione non è buona per tutte le stagioni. In quegli anni crollò il mondo… Avevamo obiettivi molto precisi, poi certo abbiamo partecipato e abbiamo anticipato la frantumazione di quel mondo. Oggi è difficile che possiamo accostarci ad una televisione che possa assomigliare a quella. Oggi ci sono delle sopravvivenze».

In chiusura Santoro risponde a Guglielmi e pone un interrogativo a chi verrà dopo quest’era politica: «Non sono d’accordo sul fatto che noi siamo sopravvivenze. La televisione è un’industria e quello che è avvenuto è che il meccanismo di impoverimento crescente della televisione è stato determinato dal fatto che abbiamo vissuto in una fase di monopolio…. Questo ha portato il prodotto televisivo a diventare spazzatura per una necessità di profitto… Noi siamo nel mondo una delle telvisioni che produce al più basso costo minuto, cioè siamo la televisione che produce più spazzatura… I sopravvissuti oggi chi sono? Quelli abituati a fare televisione con pochi soldi però hanno aumentato enormemente il loro potere nei confronti degli altri… La forma che assume il sistema televisivo è determinante. Quelli che vogliono sostituire Berlusconi hanno capito che non hanno mai puntato sulla libertà?».

di Roberto Pagliarulo

 

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