Que reste-t-il de nos amours, intonava la celebre, struggente canzone di Charles Trenet degli anni ’40.
Facendovi eco e giocando col titolo, Irene Bignardi nel suo Kerestetìl (Astoria edizioni) – recentemente presentato a Bookcity Milano alla presenza dell’autrice da Laura Lepri – compone un incantevole affresco di un mondo che è stato e che non c’è più: quello della buona borghesia milanese degli anni ’50 e ’60 del secolo passato, l’epoca del boom economico e dell’apertura alla modernità del nostro paese.
Con un tono lieve e delicato, non privo di ironia, Bignardi ci introduce alla dimensione esistenziale di un tempo trascorso, un’epoca vintage, di transizione e cambiamenti, non solo sul piano economico, ma anche sociale e del costume.
Un’evoluzione che è sempre vista dalla prospettiva particolare delle protagoniste dei dieci racconti che compongono il volume: bambine e adolescenti, le cui esistenze si muovono tra le belle (e talvolta modernissime, proprio come casa Bignardi) abitazioni di città ed i luoghi di villeggiatura: la villa vicentina dei nonni, le montagne austriache, le spiagge liguri o romagnole.
Bambine d’un tempo: pudiche, obbedienti, ingenue, ma anche intelligenti e colte. E non prive di coscienza di classe: consapevoli di far parte di un entourage privilegiato, comune alla cerchia endogamica delle frequentazioni sociali, con qualche rara eccezione, dettata da un sincero spirito solidaristico, ma magari destinata a finir male, complici le umanissime passioni (vedi il racconto di Betti e il suo «grido di animaletto ferito» che colpisce al cuore).
Bambine e adolescenti che si muovo in ambienti prevalentemente muliebri, zeppi di mamme, sorelle, nonne, zie, tate, amiche di famiglia, cugine.
I padri, invece, restano sullo sfondo, presenza che paradossalmente pesa per l’assenza: accompagnano all’inizio delle vacanze, vanno via (il lavoro – o forse qualcos’altro – li richiama), vengono ogni tanto in visita, e soprattutto tradiscono, talvolta persino con la bella bionda, tanto simile alla Dama del Pollaiolo del museo Poldi Pezzoli, che vicina d’ombrellone, era diventata così amica della mamma, anche lei peraltro bellissima…
E questa come reagisce?
Quasi sempre “abbozzando” e mantenendo una parvenza forzosa di normalità la cui artificiosità non sfugge però alla perspicacia delle intelligenti figlie. Ma non mancano i casi in cui “rende pan per focaccia”, comportandosi per sua stessa ammissione molto più «virilmente».
È la società che sta cambiando, sta abbandonando la cultura contadina e si sta aprendo alla modernità.
L’ideale idilliaco familiare comincia ad incrinarsi: ad un livello sociale più abbiente i matrimoni iniziano a mostrare le prime crepe, quelle che magari c’erano sempre state, ma finora erano state costantemente e rigorosamente nascoste sotto le forme dell’apparenza borghese.
Adesso, invece, i «pecadillos» vengono alla luce e se ne prende atto. È un primo mutamento evidente dei costumi, anticipatore di tanti altri – molto importanti – che di lì a poco interverranno nella società italiana.
Lungi dall’essere un’autobiografia, Kerestetìl per stessa ammissione dell’autrice è piuttosto una collazione di ricordi e di esperienze non solo personali (vedi il primo e l’ultimo racconto: a proposito, che curiosità sapere chi sia il regista!), ma di sorelle, amiche, amici, conoscenti.
Ne risulta un affascinante e nostalgico quadro di una generazione intera, di cosa è rimasto dei suoi amori e dei suoi ricordi, tracciato con una scrittura non strettamente narrativa, bellissima nella sua diversità. Una “autoeterogeografia” dei cuori che merita davvero esplorare. Perché quello che resta conta.
Autore: Irene Bignardi
Editore: Astoria
dati: pp. 97
Prezzo: € 12,00