Nell’ottica della lavorazione dei campi e lo sviluppo delle culture che copre l’intero anno, il mese di
Ottobre è dedicato alla vendemmia ed alla preparazione del vino. Ovunque celebrazioni e sagre permettono di festeggiare in varie maniere questo momento così rilevante per la produzione agricola, in principal modo nei paesi mediterranei.
Una tra le feste più conosciute nel
Lazio, ma che ha anche travalicato i confini della regione soprattutto per la tradizionale ed insolita caratteristica delle fontane principali cittadine che danno vino invece che acqua, è organizzata a
Marino, paese dei Castelli romani. Questa festività ha un’origine storica molto curiosa: Il 7 ottobre 1571, casualmente domenica, le Confraternite romane del Rosario sfilarono in processione in onore della Madonna, proprio quando la flotta turca venne sconfitta nella
battaglia di Lepanto. Considerando questa vittoria come dono favorito dall’intercessione di Maria, il papa Pio V dedicò la giornata alla Vergine del Rosario. Ma alla battaglia di Lepanto partecipò con la Lega Sacra anche il principe
Marcantonio Colonna, signore di Marino. Da questo preciso momento la cittadinanza celebra con una grande processione religiosa ed una sagra in cui il vino e l’uva vengono distribuiti gratuitamente (usanza perpetrata sin dai riti precristiani legati alla vendemmia), il suo signore, la Vergine Maria, la vittoria sui Turchi e la festa agricola pagana, ben quattro differenti cause di giubilo raggruppate in un’unica festività.
La festa della Madonna del Rosario e quella di San Francesco ricorrente il 4 del mese sono importantissime per la religione cattolico-cristiana, e sono entrambe nei primi giorni di ottobre.
Terminata la vendemmia quando il tempo comincia a peggiorare notevolmente verso il freddo e la pioggia fa la sua comparsa, si effettua l’aratura, l’ultimo lavoro dei campi che segna la fine della stagione agricola e l’inizio del letargo prima di quella nuova.
In questo periodo di passaggio che conduce alla stagione più fredda, nelle terre abitate dai
Celti si
celebrava il capodanno, definito
Samhain in Irlanda. Secondo le loro leggende la notte precedente questa data, attualmente il
31 di ottobre, gli spiriti dei morti tornavano sulla terra. La notte delle calende d’inverno, conosciuta come notte di
Halloween, essi entravano in comunicazione con i vivi, ed i due mondi si confondevano e si mescolavano. Dal tramonto all’alba il regno dei vivi diventava proprietà di quello dei morti, ed era questa l’ultima notte dell’anno in cui essi potevano tornare sulla terra. Quando i Romani conquistarono la Bretagna, questa credenza venne importata anche nell’Impero.
Per i Celti il mondo dei morti si scontrava sempre violentemente con quello dei vivi, che non potevano fare nient’altro che tentare di difendersi, subendo la feroce intrusione dell’oltretomba nella loro realtà.
Secondo le saghe celtiche, l’eroe
Finn (forse realmente vissuto) riuscì ad uccidere il semidio
Aillen Mac Midna, che aveva l’abitudine durante ogni “
Samhain” di bruciare Tara, area sacra vicino Dublino, dove è stata individuata dagli archeologi la sede regale dei principi-sacerdoti dell’antica Irlanda. Nella città di Tara si celebrava ogni tre anni un grande raduno detto “
Feis”, che riuniva in una solenne festa il Re del territorio, i sovrani minori, e i poeti presenti alla corte del Re quali detentori del sapere, chiamati “
Ollamhs”. Questo raduno iniziava tre giorni prima e finiva tre giorni dopo la data del “
Samhain”. Il “
Feis”con il tempo venne celebrato sempre più di rado, ed infine tenuto solamente all’inizio del regno di un nuovo Re. Forse a questa leggenda è legata la tradizione Irlandese di accendere dei fuochi nelle campagne alla fine di Ottobre. Ma far ardere fuochi è un’abitudine presente in molti altri paesi e popoli, quasi scaramantica ed in opposizione alla stagione buia e fredda che si propone all’uomo in questo periodo dell’anno, non abbandonando mai il senso purificatorio delle fiamme.
di Svevo Ruggeri