La realtà può emozionare molto più della finzione, se raccontata nel modo giusto.
Ne è la prova tangibile 120 battiti al minuto, il film che ha – a ragione – commosso, emozionato e scosso il pubblico di Cannes, facendogli guadagnare il premio più ambito, il Gran Prix, e consacrandolo come una delle opere più interessanti del cinema indie europeo degli ultimi anni.
Con una semplicità e una crudezza a volte disarmanti, il regista Robin Campillo racconta con un taglio tra il dramma e il documentario d’inchiesta i momenti più intensi del gruppo attivista francese ACT UP, nato in quegli anni per sostenere i malati di AIDS nella lotta alla malattia e nel recupero dei propri diritti umani.
ACT UP (AIDS Coalition to Unleash Power) nasce originariamente a New York, nel 1987, come associazione di persone totalmente distaccate dalla politica e dalla religione con lo scopo di restituire dignità ai sieropositivi e ai malati di AIDS. Siamo nella seconda metà degli anni Ottanta e l’epidemia dell’HIV comincia a prendere piede in modo preoccupante: occorre prendere dei provvedimenti e farlo anche in fretta.
Due anni dopo, nel 1989, sulla scia dell’esempio americano, nasce ACT UP PARIS, con le medesime modalità e intenzioni. Sia in America che in Francia, il cuore pulsante di ACT UP è la lotta all’establishment medico e farmaceutico, prima, e religioso, politico e sociale, poi, nella speranza di restituire alle persone affette dall’HIV la dignità che meritano. ACT UP è un movimento apolitico ma attivista, non violento (almeno non sempre) ma determinato e prepotente, che chiede alla gente di essere ascoltato, di ottenere i diritti che ha perduto per colpa di ignoranza, odio e pregiudizi. Perché sono proprio ignoranza, odio e pregiudizi alla base della disinformazione, il vero male incurabile di questo millennio (a dimostrazione che a volte, il tempo passa e peggiora solo le cose).
Il film di Campillo, anche lui ex attivista ACT UP, racconta in modo diretto, chiaro e drammaticamente attuale (pur essendo ambientato nella prima metà degli anni Novanta) l’impellente necessità di dare voce a un bisogno inascoltato, il desiderio di raccontare a chi non lo conosce cos’è questo mostro temibile chiamato AIDS e perchè è necessario difendersi da lui. Il film di Campillo racconta la volontà di ogni uomo di riaffermare se stesso e di ritrovare la sua dignità, pur nella malattia.
Uno dei punti cruciali su cui si sofferma 120 battiti al minuto è la lotta contro le lobby farmaceutiche, colpevoli di aver trovato una via per favorire la guarigione dall’AIDS ma di non essere disposti a renderla di pubblico dominio – per non rischiare, forse, un netto calo delle vendite delle terapie palliative alternative. I protagonisti del film di Campillo sono persone disperate, spesso in fin di vita, pronte a tutto pur di sopravvivere – o di morire con dignità. I loro corpi all’apparenza fragili, ma pieni di voglia di (soprav)vivere, sono il loro unico strumento di violenza attiva: non armi, non aggressioni, solo corpi disperati e fragili che conservano ancora il filo di voce necessario a farsi ascoltare ancora, corpi i cui cuori pulsano a 120 battiti al minuto, perché è lì che si muovono le emozioni più forti, quelle che ci rendono vivi.
Il trailer italiano di 120 battiti al minuto, dal 5 ottobre al cinema: