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Festa del Cinema di Roma 2016: The Accountant

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Festa del Cinema di Roma 2016: The Accountant

the accountantUna storia di due fratelli. Una riappacificazione con il proprio passato. Un thriller di spionaggio nuovo e diverso che unisce l’assalto al crimine, la sete di giustizia, la volontà di verità alla malattia.

Un film spietato e divertente, che accomuna la lotta al male, un velo di romanticismo ed ironia, alla delicatezza e tenerezza di chi è straordinariamente ‘diverso’ e cerca di superare il suo disagio in segreto, portando dentro sé il dolore. Una rabbia repressa, che cerca di essere incanalata, e pronta ad esplodere di fronte ai soprusi con le arti marziali. Con un Ben Affleck eccezionale, nei panni di un nuovo Steven Seagal oppure Jean Claude Van Damme. Tutto questo è The Accountant, per la regia di Gavin O’Connor. Nel cast anche un’ottima Anna Kendrick, Jon Bernthal, J. K. Simmons, John Lithgow.
Il protagonista, Christian Wolff (Affleck) è un esperto di matematica e contabilità e lavora per un’azienda di robotica all’avanguardia, che produce protesi di ultima generazione. Ha un passato losco e oscuro che mano a mano emergerà, nel momento in cui scopre una discrepanza di milioni di dollari nel bilancio della società. Vuole andare a fondo nella questione e inizia ad indagare in segreto e in privato. Ma, approfondendo, il passo per cui il crimine e tutte le pressioni in stile terroristico, con le intimidazioni, le minacce e i rischi che ne conseguono, incominciano a farsi sentire è breve. Ma Chris è incurante del pericolo. A lui si lega l’incosciente e un po’ idealista, furba e ingenua al contempo, Dana Cummings (Anna Kendrick). Quest’ultima cerca di avvicinarsi a Wolff, ma non sarà facile approcciarsi a lui: egli soffre di una forma di autismo che lo porta a categorizzare, a un ordine e una linearità maniacali che potrebbero apparire noiosi e monotoni ai più, ma che racchiudono una profonda sensibilità. Molti lo ritengono ‘diverso’, cioè ‘strano’ e lo spingono a chiudersi in sé; in realtà è speciale, e non solo per le sue doti intellettive e capacità matematico-scientifiche. Mostrerà una generosità enorme per sé e per gli altri. Ma ciò basterà a farlo uscire dal suo isolamento e dalla sua solitudine? La paura di aprirsi c’è, molto di più che ad affrontare a viso scoperto il più pericoloso dei criminali. Più a suo agio con le armi e con i numeri, che con le parole o le persone. Manifesta i suoi sentimenti a suo modo, con un sorriso accennato, un gesto della mano, un semplice ‘scusa’ , quasi a giustificarsi di questo suo carattere così introverso e tale difficoltà ad estraniare emozioni. Questo dà un tono più comico che aggiunge valore ulteriore a un thriller ben riuscito. Infatti non c’è solo spionaggio. C’è non solo da smascherare un’intera associazione criminale, ma da superare un blocco psico-emotivo.

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Educato con il fratello Braxton alle arti marziali dal padre sin da piccolo, Chris cerca di uscire dalla sorta di ‘campana di vetro’ in cui l’autismo lo ha rinchiuso. Superare la malattia, ma anche ricongiungersi al fratello (che non vede da tempo), riunire i pezzi della sua vita, riappacificare il rapporto con la sua famiglia che si è incrinato sin dall’infanzia. Così come dovrà mettere insieme le parti del puzzle della contabilità della società per cui lavora. Per far questo si allena al ritmo di potente musica rock con sfumature grunge. Eppure nel finale a dominare è una canzone melodiosa che detta il messaggio del film: “è tempo di lasciarsi qualcosa alle spalle“. A partire dal dolore, al rancore, alla sofferenza, all’inquietudine, al sentirsi inadatto. Ed è su questi continui contrasti che si basa The Accountant. Essi non solo regalano qualche risata spontanea al pubblico, ma fanno capire che nulla è semplicemente come sembra. Un contabile, del resto, non è solo un esperto di matematica, perché i numeri non sono solo cifre astratte, ma vanno interpretare per coglierne la portata e il significato. A tale proposito, la scena più bella è quella di lui che segna sulla lavagna, e su tutte le pareti della sala riunioni vetrata, i conti dei bilanci di anni dell’azienda. I numeri sembrano avvolgere questo genio della matematica (una sorta di Matt Damon in “Genio ribelle”, perché in fondo è un po’ questo che è Chris), trasportandolo in una dimensione sospesa, senza tempo. Come un campione che partecipasse alle sue Olimpiadi di calcolo, ciò risponde all’immaginario collettivo che abbiamo al riguardo, ma metaforicamente rappresenta la sua lotta personale, il suo giocare la propria ‘Olimpiade’ della sua vita. Una lotta anche con la sua fisicità: corpo imponente, però non deve farsi notare, anzi deve cercare di passare inosservato; muscoloso eppure agile; violento ed aggressivo con i criminali, così delicato e protettivo, umano e affettuoso con Dana.

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Complimenti in questo all’interpretazione di Ben Affleck, assolutamente adatto e adeguato al ruolo; ma bravo anche il regista a lavorare con un attore del genere valorizzandone i punti di forza. Non è facile dare profondità a un volto come quello di Affleck, apparentemente imperturbabile; mentre grazie alle capacità di entrambi (attore e regista) ne è venuta fuori un’espressività molto comunicativa, pur nella totale compostezza fisica e autocontrollo anche mentale di Ben sul e del suo personaggio.
Del resto anche il nome della figura di quest’uomo così misterioso che ricopre racchiude una duplicità emblematica: stravolgendolo un po’, si ottiene quello di ‘combattente’ da ‘Wolff’ come ‘wolf’ ovvero ‘lupo’; più un’elevazione di carattere spirituale con “Christian’, che ha in sé ‘Christ’ ‘Dio’, anche se tutti lo chiamano Chris. Contiene dunque l’ambivalenza di bene e male.
The Accountant non è monodirezionale, cioè non ha un solo stile e genere che lo caratterizzano. Non è circoscritto a senso unico in un thriller psicologico, esclusivamente, espressamente e prevalentemente tale come “Gone girl- l’amore bugiardo”, dove abbiamo visto impegnato sempre Affleck in passato. In The Accountant ci sono vari toni: il poliziesco del thriller; il comico di una commedia amara dato da uno humour semplice e un po’ americaneggiante; il romanticismo di una storia drammatica; il realismo intenso di una sorta di romanzo di formazione di chi è considerato ‘diverso’ e sta ai margini. Per questo è un prodotto cinematografico innovativo, valido e originale.