A lanciare questi strali contro i suoi predecessori è l’ormai ex gladiatore
Russell Crowe, che non rinuncia al piacere di far scattare una “rissa”, anche se verbale. Durante un’intervista rilasciata a una televisione australiana, Crowe ha sostenuto l’indiscussa qualità del suo Robin sminuendo in qualche modo il passato cinematografico dell’
arciere di Sherwood, un percorso composto di ventisette film in cui epica e romanticismo sono stati declinati secondo le diverse esigenze estetiche stabilite nei vari decenni. Il primo capitolo della lunga relazione tra il ladro gentiluomo e il grande schermo risale al 1908, ma si deve attendere l’arrivo dell’atletico ed entusiasta
Douglas Fairbanks per regalare a Robin una visibilità internazionale. Il suo
Robin Hood (1922), ironico e scanzonato, incarna perfettamente il modello di simpatica canaglia tanto in voga in quegli anni a hollywood, anche se la pellicola è ricordata soprattutto per l’incredibile modernità delle scenografie. Realizzato con grande dispendio di denaro, il film ha detenuto per ben settantasei anni il record per il set cinematografico più imponente, “detronizzato” solamente da James Cameron con i 294 metri del suo Titanic. Terminata l’era del muto, l’eroe descritto da Walter Scott conquista una voce grazie a
Errol Flynn, erede artistico di Fairbanks per fascino e irruenza. Diretto da Curtiz,
La leggenda di Robin Hood (1938), a più di settanta anni dalla sua prima proiezione, è considerato ancora oggi come il padre del genere
cappa e spada, un modello unico capace di contenere armoniosamente la giusta dose d’ironia, avventura e romanticismo inattaccabile nel tempo. Da quel momento prenderà vita una vera e propria attività seriale che dagli inizi degli anni quaranta arriverà fino alla metà dei cinquanta senza regalare grandi emozioni. Sorvolando su pellicole di scarsa rilevanza, ci si sofferma inaspettatamente sulla fine degli anni settanta. In questo decennio il cinema hollywoodiano ha mutato forma e linguaggio, dando vita a una cinematografia moderna in cui non sembra esserci molto spazio per un eroe un po’ datato. A tentare l’impossibile è
Richard Lester che, chiamando a sé due stelle indiscusse come
Sean Connery e
Audrey Hepburn, porta sullo schermo
Robin e Marian “venti anni dopo”per un revival da cui sono banditi eroismi facili e momenti cavallereschi. Nel rispetto delle nuove forme assunte dal cinema, questo inaspettato capitolo della saga offre una lettura ironica di vecchi miti e ideologie religiose. Amato o odiato, desueto o attuale, molte star affermate o in ascesa, precedendo Russell Crowe, hanno ceduto al fascino dell’epica e della cavalleria. È così che una giovane
Uma Thurman, prima di diventare la musa ispiratrice di Quentin Tarantino, in
Robin Hood – La leggenda (1991) si è lasciata sedurre dall’angelica fragilità di una Lady Marian fin troppo patinata mentre un già famoso
Kevin Costner si immola alla causa dell’eroe con arco e frecce per diventare
Principe dei ladri (1991). Un percorso evolutivo terminato nel 1993 quando, trasformato in un eroe in calzamaglia da
Mel Brooks, Robin Hood ha imparato anche a ridere di se stesso, dimostrando come l’epica possa vestire molte e diverse forme rappresentative come l’animazione e la farsa. A questo punto non rimane che aspettare, per capire quale nuova vita la coppia Scott/Crowe abbiano dato alla leggenda.
di Tiziana Morganti
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