Si chiude la quinta edizione del Festival di Roma salvata in extremis dal Boss Bruce Springsteen
Il sipario sta per calare sul Festival Internazionale del film di Roma, ma prima ancora che il Marc’Aurelio d’Oro incoroni il miglior film in Concorso è d’obbligo ripercorrere velocemente il tappeto rosso sul quale hanno sfilato i protagonisti di questa quinta edizione troppo piovosa e poco mondana.
Gioia e dolere di attori, il red carpet è il luogo dove si stabilisce effettivamente il livello di glamour raggiunto da una manifestazione cinematografica. Freneticamente attesa dal pubblico e spesso temuta dagli organizzatori in caso di defezioni dell’ultima ora, la ben nota passerella è un rito al quale nessun divo si sottrae nella speranza di veder magnificato il riflesso della propria immagine. Ma cosa accade quando la suddetta “fauna da premiere “ scarseggia o non si dimostra all’altezza della situazione? Non rimane che incrociare le dita ed affrontare nel migliore dei modi un’edizione sottovoce. In quel di Roma gli inizi si erano preannunciati favorevoli con l’arrivo della britannica Keira Knightley e della latina Eva Mendes ad aprire la kermesse. Ma si sa, gli imprevisti sono sempre dietro l’angolo. Così accade che i veri protagonisti della serata di apertura siano stati i 1.500 manifestanti che, sotto il vessillo dei 100 Autori, hanno occupato il tappeto rosso. Alle due dive di Hollywood è rimasto solo il piacere di una breve e fugace comparsata tra la folla per dimostrare il loro sostegno. Liberato il red carpet ma non placata la giusta polemica dei lavoratori del cinema, il festival ha ripreso il suo ritmo sperando nella buona sorte. Il risultato non è stato sicuramente dei più incoraggianti. Tra molti divi nostrani ed una indomita Eva Mendes decisa a sfilare con un abito da sera color cipria, si sono intravisti volti cinematograficamente notevoli ma che non hanno catturato l’attenzione frenetica di media e fotografi. John Landis regista di Burke e Hare ed il giovane Jesse Eisenberg, protagonista del film fenomeno The Social Network, hanno acceso con la loro pungente ironia gli incontri stampa, ma non hanno saputo colmare la vastità del tappeto rosso. Fortuna che un premio Oscar come Martin Scorsese è arrivato ad accendere i riflettori su di un evento capace di sposare con naturalezza cultura e mondanità. La proiezione della versione restaurata de La dolce vita, realizzata dalla Cineteca di Bologna in associazione con The Film Foundation, ha richiamato un folto gruppo di soliti noti tra cui una imperterrita Mendes, questa volta in rosso, ed uno spaesato James Franco sempre un po’ in difficoltà con la sua popolarità. Nei giorni successivi tutto è tornato ad una placida normalità. Certo le coreografie “ardite” delle Winks hanno rischiato di far precipitare le quotazioni del festival ma Fanny Ardant e Julianne Moore hanno imposto la dignità e l’eleganza di due grandi signore del cinema, facendo sentire ancora di più l’assenza della collega Nicole Kidman accanto ad uno solitario Aaron Eckhart. Davvero un magro bottino per cronisti e amanti del glamour se inaspettatamente, dopo una giornata di pioggia ininterrotta, il Boss non fosse comparso come un miraggio all’Auditorium. Immancabile giubbotto di pelle, t-shirt nera e la sua camminata da rocker, Bruce Springsteen ha percorso i pochi metri del tappeto rosso segnando e salvando questa quinta edizione. Per concludere, però, è giusto tornare da dove siamo partiti e rappresentare questo festival con l’immagine di un red carpet occupato da coloro che il cinema lo fanno, o almeno lo facevano. Perché, come ci hanno ricordato Donatella Finocchiaro e Sabrina Impacciatore, “Il cinema rende dolce la vita, non uccidetelo”.
Di Tiziana Morganti
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