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Roma Fiction Fest 2015: La casa della follia

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Roma Fiction Fest 2015: La casa della follia

biagio_proiettiRetrospettive Fantastica Rai, il genio artistico, tra pazzia, solitudine e auto-distruttività

La grande letteratura incontra il cinema al Roma Fiction Fest nella sezione Retrospettiva Fantastica Rai. Vengono rivisitati grandi saggi per farne film in cui follia e solitudine si fondono. In una versione a colori in “La casa della follia” ( tratto dall’opera di R. Matheson) e in bianco e nero in “Miriam” (ispirata a quella di Truman Capote). Per la regia e la mano sofisticata di Biagio Proietti. Originale l’intento ed interessante l’idea di rispolverare queste opere letterarie per riprodurle sullo schermo e farle conoscere al pubblico. Un modo per avvicinare la gente al vasto universo della cultura. Per quanto le realizzazioni possano apparire a tratti un po’ cavillose, pedanti, cervellotiche ed anacronistiche. Ma d’altronde esplorare il mondo della mente umana non è mai facile. Rendere attuale poi un bianco e nero ancor di più. Positivo il tentativo di contaminazione di generi. Esponenziale e preponderante l’uso delle musiche molto forti e di grande impatto. Così come le inquadrature in primo piano improvvise sui volti e sugli sguardi intensi dei protagonisti. Quasi a scandagliare i loro animi in subbuglio. Per un ulteriore senso di estraneazione e spaesamento maggiori, più che di identificazione. Con un isolamento e solitudine ai massimi livelli.
In “La casa della follia” c’é la solitudine di un genio artistico che conduce quasi alla follia o meglio all’autodistruzione. Comporre e creare diventa fonte vitale ed indispensabile, quasi un’ossessione. Non riuscirci più è sinonimo di fallimento e ne scaturisce una frustrazione che conduce a un senso di rabbia che esplode in maniera violenta nei confronti di tutti e in ogni circostanza. Prigioniero del genio artistico, l’artista ne è vittima senza essere in grado di ribellarsi e reagire, nonostante tutto il mondo che lo circonda si ribelli a questa dipendenza che lo isola e ne impedisce ogni rapporto umano. Quasi che la casa del protagonista sia una sorta di torre d’avorio di un poeta maledetto di vecchia data, trasposta in quello che appare a tratti quasi uno studio di psicanalisi, interrotta drasticamente dal rifiuto dell’insuccesso. Iniziato quasi come una soap opera o una telenovelas, poche battute del film ricordano il dramma dell’incomunicabilità: equivalente dell’assenza di creatività, che conduce a un mutismo prolungato all’inizio, di un animo di un uomo che solamente grazie alle musiche riusciamo a leggere. La difficoltà di produzione artistica riflette un conflitto al tempo stesso interiore ed esteriore, che viene contestualizzato in una relazione di coppia al capolinea, che sembra vicino a ricordare anche i fatti di violenza tra le mura domestiche che riempiono le pagine di cronaca. Allargare l’universale a contesti diversi e molteplici, paragonabili, significa tornare al punto di partenza di prendere l’individuo che cerca di destreggiarsi nella quotidianità alienante e monotona, correndo la sua corsa e provando a lottare come un pugile. Esausto, sfinito, oppresso, schiacciato e sopraffatto dalle troppe aspettative che lui stesso ha su di sé, che lo deludono e che lo fanno sentire un disadattato e lo rendono persino incapace di chiedere aiuto. In luogo dei saloni letterari di una volta ci sono aule scolastiche dove però il protagonista è un insegnante non in grado di trasmettere qualcosa, tanto meno quel “Carpe diem” che esorterebbe a reagire, pronunciato dal compianto Robin Williams. In luogo della musa ispiratrice c’è una sorta di ossessione per l’artista impersonificata dalla moglie. Quasi che l’uomo, preso dalle sue paranoie, non sia più neppure in grado di amare, ma solo di proiettare le sue frustrazioni sugli altri su cui scarica la colpa deresponsabilizzandosi, ma di fatto quasi prendendo atto inconsciamente della parte preponderante che egli stesso ha in questa sua auto-distruttività. Consapevolezza che non lo rende in grado di cambiare: inetto pirandelliano sconosciuto a se stesso in un mondo di incomunicabilità. Il rischio è un delirio folle e hitchcockiano, in un grido muto e silenzioso del protagonista pieno di terrore, desolazione, frustrazione e spaesamento. Abili gli interpreti Gigi Pistilli e Olga Karlatos.

di Barbara Conti