Il denaro non compra la felicità ai tempi del capitalismo
Che significato assumono le parole capitale e capitalismo in una Londra moderna, attuale, ormai trasformatasi in una megalopoli americanizzata? Prova ad interrogare e rispondere il film “Capital” di Peter Bowker e adattamento dell’omonimo romanzo di successo di John Lanchester. Il vero cancro sociale che affligge le classi sociali più svantaggiate (richiamando il tumore al cervello che colpisce Petunia Howe, una dei protagonisti della storia) è un sistema economico e finanziario al collasso, che pare svenire come lei. Cervelli impazziti o che rischiano di esserlo come la sua mente, presi dal controllo dei mercati e delle vendite; ma altro non si hanno che borse e tracciati fatti di numeri in crescita, che si arricchiscono di cifre (i prezzi degli immobili hanno un’impennata), ma si impoveriscono di umanità. È il capitale umano soprattutto ad essere in crisi. Si costruiscono palazzi sempre più alti, grattacieli che sono centri di controllo del potere, che crescono affianco a case sempre più vuote: qui non pare esserci posto, nel silenzio che le caratterizza, per la famiglia e gli affetti, con coppie scoppiate. Le vere lezioni di economia sembrano non quelle all’università nella specifica facoltà, ma quelle di chi va tra la gente che, mentre fa la spesa, constata la perdita del valore monetario. È la fotografia di un paese in cui convivono due realtà opposte: quella di chi spende in modo sconsiderato, ancor prima di aver guadagnato, in beni di lusso ritenuti essenziali, ma effettivamente simbolo della volontà vanitosa di tenere un tenore di vita alto. Ovvero quella dei bianchi sempre premiati con bonus al lavoro, per cui tutto è più facile. E poi c’è quella dei neri, penalizzati, che rischiano di essere allontanati: un rimpatrio per i richiedenti asilo che equivarrebbe, soprattutto per le donne, ad essere uccise o violentate. Donne che sono anche poliziotte e si occupano di giustizia. Un termine che assume connotati particolari appena arriva, nell’epoca moderna, una tendenza strana: il volere ciò che è dell’altro. Dilaga una tendenza stigmatizzata con lo strano slogan intimidatorio e privo di ogni forma minima di privacy : “we want what you have“. Quasi che la recessione e il crack delle banche portino al rischio di perdere anche le case tanto lanciate da un mercato immobiliare paventato quanto giacente su un terreno di sabbie mobili. È come un’ipoteca sulla libertà, sulla serenità e qualità di vita. In un’escalation preoccupante. Questa crisi però cambierà tutto e tutti. Accomunando le sorti tanto di bianchi quanto di neri e islamisti. Allora è quando anche un bianco riceve un bonus di soli 30.0000 dollari che la gratificazione professionale diventa una questione di giustizia e non più di avidità. Per tutti. Anche per islamisti che, quasi per la prima volta, sono visti come gentili e non scomodi. E si riuscirà ad apprezzare quella solidarietà musulmana preziosa ed esemplare che era sfuggita ai convenevoli di faccia degli imprenditori occidentali. Ne nasce un senso di insofferenza comune e di oppressione. È come essere sempre sotto assedio si dice. Una realtà disumanizzata che prende consapevolezza. Intanto c’è chi gira per la città e ne filma i lati oscuri e gli scenari inediti. Facendo un dvd che è un reportage, quasi una sorta di inchiesta un po’ romanzata con tante storie parallele e speculari. Un’indagine di un giovane che vive il suo paese, tra bianchi e neri, con tutti i suoi aspetti positivi e negativi, tra luci ed ombre. I chiaroscuri di una società multietnica all’epoca della globalizzazione. Londra diventa emblema di un problema mondiale, ma soprattutto di una grande sacrosanta verità: il denaro non compra la felicità.
di Barbara Conti