Un bambino si ritrova adulto senza neppure rendersene conto
Descrivere l’adolescenza in tutte le sue sfaccettature in poco meno di due ore, in un percorso che arriva sino al raggiungimento di un’età più matura, non è semplice. È possibile e c’è riuscito il regista francese Philippe Claudel in “Une enfance”. La forza del film sta sia nell’intensità degli eventi narrati, sia nella loro profondità ed autenticità, sia nel non facile equilibrio narrativo raggiunto, tra toni drammatici ed altri più leggeri. Riesce a centrare e rappresentare con belle immagini il significato dell’ infanzia, che racchiude in sé il senso della vita. Il protagonista è Jimmy, un adolescente con una difficile situazione familiare alle spalle. Eppure spesso scappa da quel mondo ‘malato’ dei grandi per rifugiarsi in uno spazio incontaminato nel bosco vicino, con la sua natura spontanea, dove ha trovato come amico segreto un gattino bianco: candido e tenero, simbolo dell’innocenza di una creatura pura come lui o come Kevin, il fratellino di cui si occupa. Oltre a badare a lui, Jimmy vive esperienze che non dovrebbe vivere a quell’età, incontrando la violenza del mondo degli adulti. Si divide tra la scuola, la passione per lo sport e il tennis, che può coltivare solamente da lontano perché non può permettersi la cifra di 60 euro per un corso estivo, il primo innamoramento, la spesa da fare confrontandosi con la povertà, lo scontro-incontro con il compagno della madre e con suo padre, che ritorna e pretende di ‘comprarlo’ con 20 euro, e soprattutto il rapporto con la madre. Introverso, si preoccupa per tutti, ma nessuno sembra pensare in fondo a lui (“non mi guardi e non mi vedi nemmeno” dice alla mamma), oppure essere capace di dialogare con lui ed ascoltarlo davvero. Così si chiude in un mutismo sempre più profondo, apparentemente imperturbabile, ma pronto ad esplodere. Lo trattano da adulto e da grande, quando è solamente un bambino che vorrebbe e dovrebbe vivere la sua vita da adolescente, invece che essere sommerso dai problemi seri, veri e reali dell’esistenza. Sembra più maturo e responsabile degli adulti, che tra l’altro non si presentano alla recita di fine anno. Il compagno della madre sa liquidarlo solamente con poche parole: “questa è la vita”, senza rendersi conto di ciò che è costretto a vivere: vedere adulti che si deprimono nell’alcool, nella droga, nel sesso, mentre lui reprime rabbia, dolore e rancore, perché è persino costretto a mentire agli assistenti sociali e perché non può vivere una vacanza in serenità, come i suoi coetanei. Così per Jimmy ci sono solo sogni infranti o meglio l’incapacità di sognare: “quale è il tuo sogno?” -gli chiede l’insegnate-, e risposta è: “Non lo so. Non sogno mai”.
In questo il regista crea un continuo contrasto tra i due mondi, che sottolinea anche con le musiche, che si fanno più calde ed avvolgenti nelle sonorità durante i momenti di maggiore spensieratezza. All’immobilismo e alla regressione degli adulti, corrisponde il suo progredire. Per la madre “il tempo è come un chewingum: si attacca e non si muove mai”. Nel film si fondono tutte le generazioni: adulti e bambini, genitori, nonni e figli, ma se i grandi non hanno il coraggio di affrontare la durezza della vita, Jimmy reagisce: non a caso la sua consolle con cui gioca si chiama “Safety”, salvezza. Se per lui il divertimento è giocare a tennis con una vecchia racchetta riparata o rompere bottiglie di vetro della birra in un cortile degradato ed abbandonato, dall’altro lato c’è un bosco incontaminato. Jimmy si ritrova al contempo in una casa completamente messa a soqquadro, dove regna la disperazione di una madre e del suo uomo che si buttano via, per poi essere disteso in una prateria a guardare una farfalla, la stessa che ha tatuata addosso la madre. Quasi che la felicità, come l’infanzia, sia fatta di attimi, finendo presto, quasi subito, ma ce la portiamo sempre dentro: come la farfalla un secondo è lì accanto a noi e un attimo dopo è volata via, e se provi a prenderla fugge via. A Jimmy non viene tolta solo l’infanzia, ma anche l’amore perché la ragazza che ama va via. Eppure stupisce la sua calma, quasi noncurante di tutta la sofferenza che gli cade addosso. Probabilmente la sua spensieratezza finisce con la scomparsa del suo gattino bianco, ma la vita continua ancora a metterlo alla prova fino a farlo diventare un uomo: “ora si fa sul serio”, gli dice il suo insegnante dopo l’estate. Se tutti vogliono fuggire, lui non sembra essere assillato da tale preoccupazione quasi claustrofobica. Forse perché sa che “per partire bisogna essere in due”. Si trova di fronte anche alla morte, ed è in quel momento diventa adulto. Un vero campione, come il suo omonimo Jimmy Connors nel tennis. Un vincente è, in fondo, chi non si è mai arreso né dato per vinto, sembra farci intuire il film senza toni patetici o melodrammatici, ma con la durezza della realtà cruda che a volte si è costretti a subire nostro malgrado. Se Jimmy non ha, in fondo, un vero padre, per lui probabilmente lo sono il suo maestro di scuola e di tennis. Da quest’ultimo gli viene il più prezioso degli insegnamenti conclusivo: anche lui di origini povere, non è diventato ricco, ma ha giocato, realizzandosi, a tennis. Realizzare i sogni, un futuro migliore e diverso, è possibile anche per quelli come lui e Jimmy non deve smettere di credere nei propri desideri. Del resto la scuola come lo sport da sempre sono palestre di vita. Incredibile come il regista Claudel sia stato capace di rendere tutta questa crescita formativa con morbida delicatezza, senza precludere né limitare o smorzare gli attimi di forte attrito, violenza, crudeltà e durezza di chi la vita lo ha messo alla gogna, dei meno fortunati, dei più deboli, vulnerabili, fragili, considerati gli ultimi dallo sguardo dei più. Si rivolge dunque a loro il regista, trasmettendo tutto tramite e grazie a Jimmy, pur senza ricorrere ad un’espressività eccessiva o senza fare uso di dialoghi complessi, ma anzi puntando su poche battute efficaci ed incisive. Jimmy sembra quasi inconsapevole della crescita esponenziale che ha avuto e del suo passaggio all’età adulta, senza nemmeno che se ne rendesse conto. Forse perché, in fondo, l’adolescenza e l’infanzia l’ha sempre assaporate per pochi brevi, intensi attimi (gli abbracci con la madre o col suo micio). Spesso non servono tante e troppe parole per descrivere un universo di stati d’animo frustrati e sofferenti. Tutto questo sa di reale ed è più incisivo di un documentario. Del resto il regista non ha nascosto che era sua intenzione: “osservare come l’innocenza e la spensieratezza dell’infanzia collidono con la violenza di situazioni psicologicamente estenuanti”, al limite estremo. Se si tratta di circostanze borderline, che potrebbero condurre alla follia, all’autolesionismo, stupisce la calma lucidità e razionalità di Jimmy, con cui ragiona interrogandosi sempre su quello che può fare, invece di commiserarsi o piangersi addosso. Questo rientra nell’integrità compita che un adulto coraggioso e dignitoso ha.
di Barbara Conti