Parentele e relazioni disastrate nella pellicola polacca in concorso al Festival di Roma
Quando una famiglia si trova a dover affrontare un momento difficile, di solito accade che o ci si unisce ulteriormente o ci si allontana inesorabilmente. These daughters of mine cerca di analizzare queste dinamiche e lo fa con estrema discrezione, rispetto e semplicità.
“Quello che volevo – dice Kinga Debska, la regista del film – era realizzare un film che riuscisse contemporaneamente a far ridere e piangere lo spettatore e che gli facesse abbandonare la sala con sollievo, non con tristezza“. Ed è questo, in effetti, il risultato finale, nonché l’efficacia del suo ultimo film.
Non è difficile, in effetti, immaginare una donna dietro la macchina cinematografica che ha mosso questo piccolo gioiellino polacco: basti pensare al modo in cui alcune tematiche familiari sono affrontate, la sensibilità con cui vengono delineati i tratti femminili o quelli mascolini delle protagoniste, la delicatezza con cui ci si accosta a determinate problematiche relazionali per accorgersi che, forse, solo una donna avrebbe potuto realizzare una pellicola così brillante ed emozionante allo stesso tempo.
È un film molto semplice, in fondo, These Daughters of mine, eppure estremamente diretto: sa dove puntare (dritto al cuore, ovviamente), sa quali corde toccare e lo fa senza chiederti il permesso, senza troppi complimenti. Affrontare la morte o la malattia di due genitori anziani può essere un tema così abusato e borderline da rendere facile e comprensibile un fallimento cinematografico: la vera forza di questo film, invece, è nella straordinaria umiltà della messinscena e della narrazione.
Nonostante gli stereotipati protagonisti, non c’è troppo spazio per i luoghi comuni, in questo film: la regista, infatti, si sforza di immergere i suoi personaggi in una realtà plausibile, pur nella sua drammaticità, in cui le disgrazie della vita mettono le persone di fronte a scelte infelici ma necessarie e allo stesso tempo permette loro di riscattarsi, in qualche modo, e (ri)scoprire l’affetto e la complicità perduti nel corso della loro esistenza.
di Luna Saracino