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Roma Fiction Fest 2014: Burka Avenger

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Roma Fiction Fest 2014: Burka Avenger

burka-avengerAnimazione vincente, con prodotti anche “impegnati”… Il regista Aaron Haroon Rashid grida il diritto all’istruzione con questa paladina stile Malala Yousafzai

L’animazione in questa ottava edizione del Roma Fiction Fest è sembrata davvero d’eccellenza, quasi di livello superiore alle scorse edizioni. Più diffusa quale genere scelto per presentare prodotti rappresentativi delle singole nazioni e nazionalità, sono stati numerosi gli Stati di provenienza che ha messo in campo. E direttamente dalla patria di Malala Yousafzai, la studentessa pakistana che ha rischiato la vita per il diritto all’istruzione (che i talebani hanno tentato di uccidere, gravemente ferita il 9 ottobre 2012 e per questo candidata al premio Nobel per la pace), viene un programma pakistano proprio sull’emancipazione femminile. O meglio a difesa della scuola quale bene di primaria importanza, proprio da parte di una figura femminile coraggiosa, che lotta contro l’ignoranza e la tirannia per rendere universale il diritto all’istruzione. L’idea geniale è del regista Aaron Haroon Rashid. Già il nome di quest’eroina dice tutto: Burka Avenger, “nemica del burqa”, del velo, cioè di chi chiude la bocca, soprattutto alle donne, o getta un velo d’omertà sulla libertà fondamentale di ciascun individuo, di ogni bambino in particolare, a studiare, ad istruirsi, a conoscere, a capire, a sapere.

Prodotto dalla Unicorn Black, “Burka Avenger” sfrutta il 3D per mettere in scena personaggi ed ambienti tipici della cultura pakistana, una tradizione che ci aiuta meglio e con semplicità a conoscere. Non manca la lezione morale lasciata al termine di ogni episodio. Al Roma Fiction Fest sono stati presentati due episodi; nel primo, l’insegnamento dell’eroina è: “la migliore difesa contro le avversità è l’istruzione; fate dei libri e delle penne i vostri amici e non impedite a nessuno di privarvi di questo diritto”. Burka Avenger, infatti, combatte e sconfigge “il male”, impersonificato da Baba Bandook e dai suoi uomini, che vogliono chiudere la scuola femminile aperta dalla giovane maestra (sarà lei a trasformarsi non a caso in Burka Avenger). E lo fa utilizzando un’arte molto particolare, fatta di libri, penne ed acrobazie. È solamente con questi strumenti che cerca di sconfiggere l’ignoranza e la tirannia. Oltre alla semplicità del linguaggio diretto usato, la comunicatività di questo prodotto, di alto impegno sociale, civile e culturale, deriva dal fatto che protagonisti, oltre alla maestra (alias Burka Avenger), sono tre bambini: due maschi ed una femmina. Ed è proprio quest’ultima a gridare che anche le ragazze hanno bisogno di istruirsi, nessuno può privarle di questo diritto che costituisce il loro futuro, anche quello di madri. “Non potete spingerci nelle tenebre dell’ignoranza!”, dice tra le lacrime; una frase che commuove anche gli uomini di Baba Bandook. Ed è lei ad avere l’incubo di bruciare in queste tenebre infernali, angosciata dal terrore di “restare ignorante per sempre”, nel momento stesso in cui la scuola viene chiusa. Anche al TG parlano di “una tragedia” che rende “molto triste” il giorno in cui viene data. E se è ricorrente la domanda “perché?”, in questo prodotto per i più piccoli che pongono sempre tanti interrogativi, il regista cerca di trovare un senso, una motivazione a tante questioni, di fronte all’ingiustizia di un diritto negato. Lo fa con un linguaggio semplice, dicevamo, ma non meno metaforico. Anche visivamente, le associazioni che crea sono intuibili e facili da individuare, aiutando la fruizione del messaggio significativo che veicolano. I singoli personaggi sono denotati in ogni modo: l’arrivo di Baba Bandook è salutato da un cattivo odore, ad evidenziare la nefandezza e le conseguenze negative che porterà.

Ma il regista non si limita ad insistere sull’importanza della scuola, ed allarga il discorso ad altre tematiche importanti. In un secondo episodio è la maestra ad insegnare ai suoi alunni che “la discriminazione è il problema della società”, ribadendo loro che tutti siamo uguali, e nessuno è inferiore ad un altro per la diversità di religione, razza o colore della pelle. Ed infatti viene messa in scena una bella amicizia tra un indiano ed un pakistano, che spesso litigano per le proprie abitudini o i propri gusti o il modo di vestire di ciascuno, ma mai per motivi religiosi o in ragione della propria etnia. E se l’appello finale è “vivete in pace ed armonia”, vediamo che questa è una dura conquista da ottenere. Una lotta quotidiana collettiva.

È la forza del gruppo, l’unione dei personaggi a renderla possibile. Questi ultimi sembrano quelli realizzabili sulla piattaforma digitale di “Second Life”, quasi che il sogno e il desiderio sia quello di un mondo diverso, più giusto, più equo, più libero, dove vi siano più tolleranza e rispetto dell’altro. Con “Burka Avenger” si aggiunge un altro tassello importante nel sostegno di questa strenua battaglia da condurre, tutt’altro che risolta. Un importante passo avanti che si va ad sommare all’attribuzione, il 10 ottobre 2013, a Malala di un riconoscimento esemplificativo: il Premio Sakharov per la libertà di pensiero. Ne è stata insignita poiché è “una ragazza eroica”, come l’ha definita il neo presidente del Parlamento Europeo, Martin Schulz. Il premio le è stato poi consegnato successivamente, in occasione della Sessione Plenaria di Novembre, a Strasburgo, il 20 novembre dello scorso anno.

Il sogno di un mondo più unito, in cui oriente ed occidente quasi si fondano, sembra, se non vicino, meno distante. È il sogno mai finito di tutti quei giovani che vogliono vestire all’occidentale o cantare la musica “straniera” ed andare ai concerti anche di cantanti di altre nazioni. La musica unisce, spesso, si sa. E dunque anche in Burka Avenger non poteva mancare questo che è come una sorta di “filo d’Arianna” per uscire dal labirinto di una mentalità troppo rigida, che non lascia spesso spazio alla libertà di realizzazione personale per seguire rigorosamente la tradizione, soprattutto religiosa. È la musica il filo che lega al mondo occidentale, più libero. Ed è sempre lei che fa da eco alla religione, perennemente sullo sfondo. Perché un prodotto d’animazione non significa necessariamente che non sia valido, serio o profondo. Non è di certo un gioco banale, anche se “Burka Avenger” è disponibile anche sotto forma di “games”.

di Barbara Conti