L’autrice ha incontrato il pubblico, in occasione del Festival de la fiction française, al Bibliocaffé letterario di Ostiense
Un târ, due fratelli, un destino. Su queste coordinate si muove l’ultimo libro dell’autrice francese, Yasmine Ghata, in visita in Italia per presentalo in occasione del Festival de la fiction française, che si svolge in contemporanea. C’è tutta la poeticità che ha preso dalla madre: la poetessa di origine libanese Vénus Khoury Ghata. “Concerto per mio padre”, come è stato tradotto in italiano, è la storia della ricostruzione del legame di questo strumento (târ, n.d.r.) col suo possessore, che un tempo fu il defunto padre, nel momento stesso in cui passa nelle mani del primogenito; ma a contendersi il possesso del târ ci sarà anche quello minore. Forse più meritevole. Non si tratta di un contenzioso passivo, bensì attivo. Dietro la ricerca del liutaio che sostituisca le corde, si cela un romanzo di formazione, che racconta tutta una cultura, una tradizione, una società, antica, ma di forte modernità: l’Iran. Qui sta l’abilità di questa autrice di sedurre accennando a un mistero, a un “un segreto” persino “troppo pesante”, da svelare. Quasi fosse una donna seducente, ma pericolosa, parlando dei “sinuosi fianchi di legno” dello strumento. Come se ci fosse dietro una maledizione, un sortilegio che si accanisce sui protagonisti, che sembrano tuttavia “vittime” del târ che è “il soggetto per eccellenza più che oggetto del testo”, spiega Yasmine Ghata. Qui tutto ha una fisicità, una corporeità fondamentale, quasi che aggiunga spessore, anche emotivo e deontologico, alle parole, agli eventi, come ogni nota dà senso aggiunto all’intero spartito del libro. Per poter giungere a suonare la sinfonia conclusiva completa. E mentre i protagonisti si chiedono se debbano “espiare un crimine”, quasi a “scontare una condanna inclemente e sconosciuta”, dall’altro lato hanno la consapevolezza che “cambiare le corde di un târ equivale a cambiare la sua stessa anima e quella del musicista che lo possiede”. Tutto ha un’anima: la natura, gli alberi, complici e testimoni, il silenzio e il buio, quando la vista abbandona il protagonista che, tuttavia, sembra in grado di sentire meglio il peso di quell’eredità, la paura di non poter essere all’altezza e il timore delle eventuali conseguenze.
“Sarà un fardello o una redenzione? Una salvezza o una punizione”, si chiede Yasmine interrogando, al contempo, anche il pubblico presente alla presentazione al Bibliocaffè letterario, di via Ostiense 95, il 14 febbraio scorso. Per scoprirlo i personaggi devono andare alla ricerca di se stessi, così come ella ha dovuto scrivere per sentirsi perfettamente inserita e parte del suo tessuto familiare, quella famiglia che è sempre presente sullo sfondo di tutti i suoi testi. Ciascuno molto autobiografico, “Concerto per mio padre” incluso. La storia personale e la ricerca individuale di Yasmine Ghata fa da filo cardine al libro, seppure l’autrice si sia voluta liberare da tutti i marcatori spazio-temporali per “sottolineare il carattere universale di questa vicenda che accomuna tutta l’umanità”. E la scrittrice francese giunge all’universale “conciliando forma e sostanza, che è stato il mio obiettivo primario, suonando in armonia le parole: quegli strumenti straordinari nelle mie mani”. Così dicendo vuole sottolineare “la spiritualità” della scrittura: “i libri e lo scrivere mettono l’uomo in condizione col divino, poiché c’è una sorta di sublimazione del reale, un trascendere la realtà dei fatti per cogliere il senso altro da quello immediato”.
E la volontà di voler portare “questo libro su un livello altro”, si vede già dal titolo, aggiungendo, per volontà della stessa Yasmine Ghata, quel “mon”, quel “mio” accanto a “père”, “padre”, per connotarne definitivamente l’aspetto autobiografico. “Avrei potuto, però, dire anche ‘Târ de ma mère’, il târ di mia madre, anch’ella una scrittrice: è da lei e da mia nonna che ho ereditato l’arte della scrittura appunto. Per questo ‘Concerto per mio padre’ è stata un’opportunità per legittimarmi in un tessuto familiare e nello scrivere. Con tale testo ho potuto prendere il mio posto e mi sono concessa l’autorizzazione alla scrittura. Rispondendo all’interrogativo che tanto mi tormentava: sono fatta per la scrittura o è una fatalità che sia nata in una famiglia con tali precendenti? Questa domanda che mi sono posta può riguardare chiunque. Per questo è una storia universale, in cui si affronta anche un’altra questione fondamentale: in ogni singola storia che venga scritta, si prova piacere ad essere figlio/a di…?”.
Una dimostrazione di come superare i propri limiti, i propri complessi, i propri dubbi esistenziali e i cosiddetti fantasmi che “ossessionano” le nostre vite, impedendoci di progredire. Uno dei fantasmi presenti nel testo è la scomparsa del padre, una perdita che fa ancora male nel cuore dei protagonisti, che il târ in un certo qual modo rappresenta: rifiutandosi di suonare, le sue corde è come se rifiutassero quel lutto, qual fantasma invisibile, ma così percepibile. Cambiare corde, significa lavorar su se stessi per superare quel dolore e trovare il coraggio, la forza e la determinazione di suonare una nuova melodia”: quella del futuro, del cambiamento, della rinascita, dell’eredità, della vita che continua dopo la morte. Sempre. Come la musica non smette mai di suonare dopo la conclusione di un concerto.
di Barbara Conti