Una timidezza che sul palco si trasforma in energia esplosiva per raccontare un universo emotivo, soprattutto femminile, al di là dei tecnicismi
Durante la tappa a Canale Monterano del tour dei Matia Bazar, dall’ultimo album “Conseguenza logica”, abbiamo avvicinato la voce della band: Silvia Mezzanotte. Cordiale, pacata e sorridente, nonostante un po’ di stanchezza dai concerti consecutivi degli ultimi giorni… si racconta con tranquillità.
Deriva dal genovese, poiché questo è un gruppo che nasce a Genova nel 1975. Matia significa “mattana” ed era il soprannome di Antonella (Ruggero ndr); essendo una band costituita da una donna e tanti uomini era il bazar intorno a Matia-mattana-Antonella.
In genere parliamo d’amore forse perché è l’argomento più ricorrente che permette di raggiungere più persone possibile. Parliamo di amori tristi, amori allegri. Dunque l’amore sicuramente è il nostro filo conduttore, anche se il vero filo conduttore dei Matia è un mix tra una certa eleganza melodica e dei testi e delle linee melodiche che si ricordino con facilità pur conservando grande musicalità e grande passione.
Ci è piaciuto usare questo termine ‘conseguenza logica’ perché, quando ci siamo incontrati, è stato molto semplice decidere di ricominciare a lavorare assieme e di fare questo percorso. “Conseguenza logica” è un album che contiene 13 canzoni. In questo concerto (a Canale ndr) come negli altri, non le eseguiremo tutte e 13, ma soltanto alcune perché vogliamo che il concerto sia un viaggio musicale tra passato e presente. Ci piace che l’attenzione del pubblico sia sempre catturata anche con i grandi successi storici.
Beh sono cambiate tante cose. Amiamo, però, considerarci come una grande squadra di calcio… sarà che io e Giancarlo siamo tifosi della Juventus e ci piace pensare al marchio Matia come una grande squadra nella quale possono anche passare grandi campioni, ci sono periodi in cui si vince lo scudetto altri in cui si viaggia nel campionato… però la Juventus rimane comunque sempre la Juventus. Ad ogni modo tutte le persone che sono entrate nel mondo Matia lo hanno fatto lasciando un loro segno preciso, ma tutte salvaguardando sempre il grande marchio Matia Bazar.
Il tour intanto ci vede parecchio impegnati in Italia… adesso stiamo facendo una quaterna di date: questa è la quarta consecutiva, domani saremo nelle Marche a Civitanova. Poi riprenderemo tra una decina di giorni in Sicilia, dove abbiamo una serie di date del tour che prosegue fino a ottobre. A settembre abbiamo diversi impegni all’estero, dove noi siamo spesso, soprattutto in Russia. Ad ottobre ci sarà un evento che secondo noi è particolarmente bello: Al Bano ha deciso di festeggiare il suo settantesimo compleanno a Mosca con un grandissimo spettacolo nel quale sarà lui ad interpretare le canzoni degli artisti italiani più conosciuti all’estero. Infatti canteremo insieme “Vacanze romane”. Non è accaduto il contrario ed è una cosa che ci piace molto; ci saranno molti altri artisti insieme a noi, ma è una di quelle cose che ci riempie d’orgoglio. Non tutti sanno che ci sono artisti italiani che all’estero sono decisamente più considerati che in Italia, ad esempio Toto Cutugno. Qui in Italia sono considerati storia, mentre in altri luoghi sono visti quali personaggi di straordinario livello.
Io penso che ce ne siano diverse. Bisogna parlare di periodi storici. Credo che la canzone che più in assoluto ha permesso ai Matia Bazar di fare il giro del mondo è “Vacanze romane”, ma anche “Ti sento”, o “Solo tu”, che è una canzone che quando uscì fu in classifica in Francia e in moltissimi Paesi europei, come ad esempio in Spagna e nei Paesi in lingua spagnola. Non a caso ne è stata incisa anche una versione bellissima in questa lingua molto musicale… ma anche “La prima stella della sera” ha avuto molto successo ed è rappresentativa dei Matia. Oppure il primo album nel quale sono entrata a far parte dei Matia Bazar, “Brivido caldo”, che venne pubblicato con successo in Spagna.
A due canzoni in particolare: una è “Messaggio d’amore” perché ci ha permesso di vincere il Festival di Sanremo (nel 2002 ndr) e l’altra è “Cavallo Bianco” che, pur non appartenendomi, non essendo stata scritta per la mia interpretazione, l’ho sempre sentita mia.
Credo che questa sia una questione assolutamente soggettiva. Per me prima di tutto viene il testo. Sono convinta da quello che viene detto, anche se il connubio perfetto tra la musica e la parola cantata è un artifizio, una magia che quando avviene ti colpisce profondamente nel cuore. La poesia cantata è completamente diversa dalla poesia… che è un’arte splendida. Può capitare che in molti siano convinti di aver scritto una canzone, ma spesso non è così: puoi aver scritto un testo bellissimo, le parole di quello che tu consideri il testo di una poesia, ma una canzone è tutta un’altra cosa… ogni parola deve corrispondere ad ogni nota melodica ed ogni stato d’animo deve avere una sua precisa nota, deve avere un accordo in do minore o maggiore a seconda di quello che stai dicendo. Quindi è una cosa completamente diversa ed estremamente complessa.
Credo che sia il fatto che i Matia, almeno fino a qui, si siano sempre autoprodotti…cioè hanno sempre avuto autori che costruivano all’interno di questo mondo fatto di musica e parole… In “Conseguenza logica”, ci sono state delle collaborazioni e non è escluso che in futuro ricomincino, tuttavia avere all’intero del gruppo autori importanti come Piero Cassano, ed il fatto che la costruzione cominci dal principio alla fine dentro il mondo Matia Bazar è fondamentale per avere dei testi e delle musiche che siano espressione di un prodotto che ci tiene uniti e compartecipi.
Io l’ho fatto tramite la musica, tramite il canto. Io avevo una timidezza patologica da piccola. Uno sbatter d’ali mi faceva tremare, però avevo già questa vocina e la passione per la musica. Ascoltavo le voci femminili soprattutto. Piano piano ho cominciato ad imitarle a canticchiarle. Poi ho cominciato a far sì che gli altri riuscissero ad ascoltarmi, ma soltanto tardi sono riuscita a salire sul palco, con grande difficoltà, vincendo questa paura che mi attanagliava. E poi da adulta, ho deciso di costruire un recital che si chiama “Regine” proprio per celebrare queste grandi voci delle quali io ero andata a leggere la biografia, notando che molte di loro avevano vissuto momenti difficili nella loro vita o comunque soffrivano di paure, timidezze, insicurezze che hanno superato attraverso la musica. Quindi mi sono sentita molto incoraggiata, anche se credo che questo tipo di timidezza che ho ancora non riuscirò mai a superarlo del tutto: è una cosa su cui si può lavorare per imparare a conviverci e trasformarla in energia, che diventa volontà di perfezionamento. Io devo sempre stare attenta, però, a non superare il limite che va dalla volontà di perfezionarmi alla ossessione di perfezionarmi perché poi si rischia di andare a cercare tecnicismi che tolgono passione. Adesso mi sto abituando a riascoltarmi, con un occhio diverso, più dedicato all’istinto e all’amore che ho messo dentro queste note. Magari se le note non sono perfette non importa, però voglio sentire l’energia e la passione che racchiudono. È un lavoro che non finisce mai.
Io ho un ricordo di Mimì come di una persona molto diversa da quello che la gente diceva di lei. In realtà era una persona molto serena, passionale, ho lavorato con lei come corista nell’ultimo suo album…era intelligente, molto divertente, al contrario di quanto si credesse. Credo che nella vita abbia sofferto molto anche per le molte dicerie su di lei. Penso che la maldicenza e le dicerie stesse, appunto, l’abbiano portata poi alla morte prematura. Però nel periodo in cui l’ho conosciuta io, ho vissuto una persona splendida da tutti i punti di vista. Avevo la fortuna di lavorare in uno studio di registrazione in cui non si lavorava soltanto, ma si dormiva anche. Quindi ho potuto conoscere questa persona nella sua umanità.
Quando ho lasciato il gruppo mi sono resa conto di cosa significasse assumersi in toto le responsabilità delle proprie decisioni, dalla scelta delle luci a quella del repertorio musicale. Devo dire che è stato faticoso, però mi ha fatto crescere molto e mi è piaciuto. Quando sono rientrata all’interno del gruppo ho tirato un sospiro di sollievo, perché sapevo che altri si sarebbero occupati di cose che non mi spettavano più, non erano più di mia competenza, anche se volendo posso metter il becco ovunque in qualsiasi situazione. Nello stesso tempo ho chiesto di poter conservare un mio spazio da solista con lo spettacolo “Regine”, di cui parlavo poco fa, perché, un po’ come in una coppia, il conservare degli spazi propri arricchisce la coppia stessa e io credo che tutto quello che ho fatto, faccio o farò da sola è comunque un apporto per il mio gruppo. Sono sempre emozioni nuove, è un modo più completo di interagire coi miei colleghi e sono molto felice che ognuno abbia delle attività personali. Giancarlo ha anche un altro gruppo storico, Piero e Fabio costruiscono altri artisti; quindi, quando poi ci ritroviamo insieme, credo che le esperienze personali arricchiscano il gruppo stesso.
È molto difficile perché è un ambiente maschilista inevitabilmente. Quindi occorrono molta determinazione e tanta tenacia. Partiamo dal presupposto, poi, che fare musica in questo momento è difficile per chiunque, è un momento storico molto complicato per i musicisti. La musica è considerata l’arte del superfluo e quindi, vista la crisi che c’è, i primi tagli hanno colpito noi ovviamente. Per una donna questo è amplificato da mille motivi: perché è un ambiente maschilista, perché i posti di potere sono quasi tutti riservati agli uomini, per motivi commerciali. Mi spiego meglio: la produzione di un giovane emergente maschio è molto probabile che attiri un numero maggiore di utenti che sono le ragazzine, mentre per una donna questa cosa non capita. Per questo motivo ammiro due delle voci che sono di recente entrate a far parte in pianta stabile del panorama musicale: Alessandra Amoroso che è, secondo me, il talento assoluto uscito da “Amici”. La seconda che amo molto, devo dire la verità non tanto per la musica o per le canzoni quanto per la persona, è Emma: per la sua grinta, la sua determinazione, un valido esempio per i giovani. Secondo me è fondamentale in questo momento perché il talento senza l’impegno non porta da nessuna parte.
Le band sono particolarmente sfortunate perché i talent per le band non ci sono; però adesso pare che ad “Amici”, da quest’anno, comincino ad importare anche i gruppi. Io un talent dedicato interamente alle band lo farei perché, gruppi come il nostro, i Negramaro, i Negrita o altri che sono emersi, non avrebbero avuto nessun tipo di spazio in questo periodo nel quale i talent, ahimé, sono l’unica soluzione possibile. Il consiglio che do è, prima di tutto, di studiare, di aver una base solida di tecnica, perché senza la tecnica diventa tutto molto più complicato. Poi di allenarsi facendo qualsiasi cosa: dal pianobar, ai concorsi paesani, passando attraverso tutte le opportunità che possano capitare di musical o altro. Il talent scout non esiste più, bisogna che il singolo artista vada a cercarsi l’occasione. E per fare questo ci vogliono tanta pazienza, determinazione, tenacia e grinta… oltre che preparazione. Per quanto riguarda i talent io dico sempre che vale la pena di provarci quanto meno, di farlo con un atteggiamento ben preciso, che è: io mi preparo al meglio, ma non lo caldeggio decisamente come l’occasione della mia vita, ossia se anche non passo, non succede niente. Magari ci riprovo perché gli auditori ascoltano talmente tante voci nell’arco di brevissimi provini, e non è detto che in quel preciso istante tu riesca a dare il meglio di te o chi ascolta può avere altri pensieri o averne ascoltati tanti che è stanco e non riesce a percepire un talento vero e proprio. Quindi io penso che bisogna continuare a sperare e cercare, comunque, anche altre strade. Molti mi dicono che anche arrivare in forma ad un provino come quello di“Amici” è difficile perché devi aspettare diverse ore sotto il sole. Ma in realtà l’attesa è l’inizio del provino perché è da lì che si misura la tua volontà di andare avanti. Questo, infatti, è un mestiere molto difficile, al di là di quello che fa passare la televisione. Chi viene da “Amici” può ottenere un successo insospettabile nel giro di poco tempo e illudersi che sia così per sempre… in realtà, dopo poco, ne escono di nuovi e la tua carriera piano piano scema… oggi si lavora molto sull’usa e getta. Per ragazzi così giovani, di 18-20 anni, però, restare forti e solidi di fronte a questo tipo di situazioni e cercare nuove occasioni è complicato.
Una persona estremamente positiva, ottimista. Credo che sia la mia caratteristica sostanziale. So godere delle piccole cose, sono una persona molto fortunata perché ho accanto a me le persone che mi hanno portato verso i valori veri. Mi riferisco alla mia famiglia solidissima, a mia sorella, ai miei genitori, a pochi amici, ma che mi seguono da molto prima che io avessi successo e perciò a loro del mio successo interessa relativamente. Soprattutto i miei genitori sono le mie due querce perché mi hanno insegnato i valori veri, a stare coi piedi ben saldati al terreno. Fortunatamente, sono sempre stata circondata da persone valide, a partire dal mio manager Antonio Colombi, che è il mio manager da ormai 13 anni, che mi ha incoraggiata, ma mi ha fatto sempre vedere i miei margini di miglioramento, mentre molti giovani sono circondati da persone che fanno vedere loro solo gli aspetti positivi e quindi i ragazzi crescono un po’ boriosi. Tutto ciò mi ha permesso di conservare la mia serenità, la mia umanità, la mia voglia di divertirmi, la mia voglia di godere delle piccole cose. Io vivo a Bologna, città meravigliosa, e viaggio in autobus perché mi piace stare in mezzo alla gente: qualcuno mi riconosce, qualcuno no, perché nessuno si aspetta che un’artista viaggi in autobus, ma a me piace molto. Spero che tutto ciò arrivi al pubblico. Il palco crea distanza, molte persone mi ritengono antipatica, senza nemmeno conoscermi, altèra, snob, mentre sono molto tranquilla e cerco sempre di costruire un rapporto, non di mettere distanza. Ci sono artisti che vivono sulla distanza, mentre invece per noi è il contrario: cerchiamo di abbattere tutte le barriere, a partire dal palco. Ci vuole pazienza in tutte le cose.
No, non è nei nostri piani. Sarà che stiamo ricostruendo il rapporto con l’estero, abbiamo una serie di appuntamenti importanti che ci impegneranno da ottobre in poi, perciò non ci stiamo pensando in questo momento.
Posso dire che all’estero problemi non ne abbiamo mai… se posso dirla tutta, c’è una situazione di meritocrazia che si vede di più. Forse c’è una cultura della musica differente, almeno nei paesi dell’Est, che crescono con una cultura della musica classica inserita all’interno delle scuole in maniera molto più seria di quanto non si faccia in Italia. Perciò, quando arrivano grandi artisti, gruppi con una voce che canta, vi ripongono molta attenzione. A loro non importa niente, ad esempio, della cantante che interpreta quella canzone: a loro importa che quella canzone sia interpretata al meglio: che sia io che sia Antonella o che sia Laura Valente o Roberta (sono quattro le vocalist dei Matia Bazar). Con i Matia c’è stato sempre un vasto successo ovunque.
di Barbara Conti