La lotta del trio assortito capitanato dal teatrante Pesce per la restituzione della dignità all’uomo che ha sfidato la monarchia viene notata e accolta dal regista televisivo Colabona
Sergio Colabona porta sul grande schermo l’appassionante e misconosciuta storia di Giovanni Passannante (Fabio Troiano), cuoco lucano anarchico e repubblicano che nel 1878 attentò alla vita del re Umberto I con un coltellino lungo quattro dita.
Passannante giunge nelle sale italiane in un anno importante per la memoria del nostro Bel Paese, alle prese con i festeggiamenti dei 150 anni di Unità, e rivangando una storia piccola ma dalle solide idee rivoluzionarie torna a fare riflettere sulle ingiustizie di un potere irrazionale e dispotico. L’esordio cinematografico del regista noto negli ambienti televisivi segue gli sforzi di un insolito trio composto da un teatrante (Ulderico Pesce), un giornalista e un cantante (Andrea Satta – Avanti Pop) intenzionato a seppellire il dimenticato Giovanni Passannante. Appellandosi a teorie criminologiche razziste, la famiglia reale decise di vendicarsi contro l’attentatore anarchico anche dopo la sua morte negandogli degna sepoltura e ordinando che il suo cranio e cervello fossero esposti nel Museo Criminologico di Roma.
Il tessuto narrativo si snoda attraverso periodi e linguaggi diversi, passa in rassegna quasi tre secoli di storia e si avvale della rappresentazione nella rappresentazione per farlo. Ulderico Pesce, con il suo teatro sociale portato in giro nelle piazze italiane, è il trait d’union nella vastità spaziale e temporale del film che affonda le sue ragioni morali nell’antica tragedia greca sofoclea, l’Antigone, della quale si prende a modello la lotta contro i soprusi perpetrati da un sistema tirannico che accecato dal potere arriva a negare la civiltà.
E’ il 1878 quando il meridionale Passannante, di famiglia povera e strenuo assertore della repubblica e dell’uguaglianza sociale, decide di compiere un’azione di forte impatto sull’opinione pubblica inscenando un improbabile attentato alla vita del re Umberto I sotto la bandiera Viva Orsini, viva la repubblica universale. L’inconsistenza dell’arma usata rappresenta di per sé una prova delle sue intenzioni rivoluzionarie e non assassine ma i Savoia, la cui immagine subirà da quel momento un lento e inevitabile declino, gli negano astutamente il processo politico conducendolo in un tribunale ordinario dal quale tuona la sentenza di morte. Passannante, ‘graziato’ dai Savoia che commutano la pena capitale in ergastolo, viene rinchiuso in una cella minuscola sotto il livello del mare dove le disumane condizioni inflitte lo trascinano gradualmente nel baratro della follia. Quando Passannante incontra la morte nel 1910 dopo la prigionia nel manicomio criminale, gli irosi reali sferzano contro il suo corpo esanime l’ultimo colpo possibile, ossia la privazione della sepoltura. Solo dopo anni di insistenti richieste avanzate dal trio, il cuoco dalle origini umili e dalle idee straordinariamente socialiste ha avuto nel 2007 la dovuta sepoltura nel suo paesino natale, Salvia di Lucania ribattezzato dal re Savoia di Lucania per sanare l’affronto subito.
Il film di Colabona eccelle nelle intenzioni svelatrici e divulgative, nella passione della ricerca su una vicenda collettiva, universale e potente e nella fedeltà alle vicissitudini del caparbio trio, scelto come tramite per riappropriarsi di un eroe lontano e occultato. Purtroppo il film soffre dell’assenza di una regia abile nell’amalgamare la diversificazione linguistica della materia e nel gestire la fluidità dei passaggi. I momenti storici articolati tra passato e presente non sono affrontati tutti con la stessa scrupolosa attenzione, la componente politica rappresentata dal Ministro della Giustizia di turno è ridotta a banali macchiette e l’aspetto recitativo risente degli eccessivi e ingiustificati sbalzi di tono tra i diversi personaggi. Egregia è invece la riuscita della costruzione narrativa attorno alla rappresentazione teatrale ispirata al nefasto destino di Passannante e interpretata – non solo sul set cinematografico – da Ulderico Pesce, un fool intento a sensibilizzare e smuovere le coscienze.
Nonostante le innegabili imperfezioni, di quest’opera coraggiosa e imbevuta di ideali eroici e di giustizia assoluta non possiamo non riconoscere l’onestà e il valore etico sotteso. Ci piace pensare al regista come a un piccolo Passannante del panorama cinematografico italiano che, illuminato dalla fede in un ideale superiore a qualsiasi logica compromissoria, consacra alla necessità della causa le proprie energie intellettuali ed esistenziali.
di Francesca Vantaggiato