Al Teatro “Lo Spazio” a Roma un esempio alto di una sorta di teatro degli equivoci
Fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio. È proprio il caso di dirlo per lo spettacolo “Le piccole cose – un amore di spettacolo”, dal 9 al 14 aprile prossimi al Teatro Lo Spazio a Roma (via Locri 42).
Dal martedì al sabato alle ore 21.00 e la domenica alle ore 17.00. Una commedia in un atto liberamente ispirata ai racconti di Stefano Benni, per la regia e gli adattamenti di Daniela Amato in veste anche di attrice, insieme a Paolo Camilli e Francesco Falabella.
Cosa hanno in comune un ladro, un cuoco e un gatto, una cartomante, un imbranato signore con l’ombrello, una ragazza timida e impacciata, due giovani innamorati, un barista investigatore, un uomo e il suo cockerino, una hostess senza pilota, un fratello inaspettato, uno scolaro distratto, un uomo sotto un treno, una coppia al ristorante? La risposta è lì sul palco, e se non credete che possano essere legati in alcun modo ricordate: diffidare delle apparenze! Nulla è come sembra, tutto può essere il contrario di tutto. Specialmente al teatro, dove ogni oggetto, ogni personaggio, assume forme e connotati diversi grazie ad una metamorfosi, catarchica e non solo, reale e figurativa, metaforica, irreale, quanto veritiera, pregna di significato quanto di puro e mero intrattenimento fine a se stesso per regalare un sorriso allo spettatore. Che è ciò che non deve mai mancare. Finzione (o funzione, creazione finalizzata ad uno scopo ludico-terapeutico-maieutico-didattico), azione (degli attori: personaggi, esseri umani, figure e figuranti allo stesso tempo), mediazione (da un mondo quotidiano ad uno immagino, pseudo reale, fittizio quanto verosimile) rimano. Come uno ione, le immagini e le scene sul palco infondono energia nel pubblico che viene intrappolato nelle reti del meccanismo della messinscena per capire ciò che sta avvenendo, dove si trova, chi fa cosa. Chi recita e chi è se stesso. Uno, nessuno, centomila, il teatro delle maschere di Pirandello è un metateatro che riporta, allontanando al tempo stesso, lo spettatore fuori e dentro la sua quotidianità.
Così in una spinta propulsiva, propedeutica quasi, alle sue aspettative, la suspence sale nell’attesa del finale, dove, forse, almeno a teatro, potrà vedere realizzato il finale perfetto, la perfetta armonia dell’equilibrio tra le tensioni emotive che continuamente viviamo, tra tutte le passioni contrastanti di cui e per cui viviamo e che ci fanno palpitare il cuore, influenzando le nostre giornate e l’alternarsi degli eventi (positivi e negativi) che contraddistinguono la nostra esistenza. Alla fine, però, come nella realtà si rischia, di rimanere illusi e disillusi perché non tutto va come vorremmo, non sempre c’è un lieto fine, un finale gioioso e romantico a cui brindare alla faccia della “sfortuna”, della “iettatura” che ci perseguita, quasi. Quante volte abbiamo esclamato: “ce l’avevo quasi fatta”, “ho mancato il traguardo che mi ero prefisso/a per poco”, “se non fosse stato per quella strana contingenza imponderabile, imprevista…”, “c’è mancato poco che”, “per un soffio…”, “m’ha detto male pure stavolta”. E si potrebbe continuare all’infinito. Già perché gli eventi non sempre sono spiegabili razionalmente, né alle volte potremmo immaginare le cose in modo diverso da come sono e come vorremmo, allora attribuiamo la ragione a una forza estranea, quasi superioe, quella che domina in teatro potremmo dire: il fato, la magia. Dove tutto può avvenire, nulla è impossibile. Un finale diverso (non per questo esclusivamente positivo), può sempre essere scritto. Fino all’ultimo, non si sa mai come andrà a finire. Ed è questo che ci tiene incollati alla poltrona.
Ed è per questo che: il barista è l’investigatore e l’innamorato, la hostess è un bancomat, la cartomante è un ballerino, e il cocker è un cane?! Ma il finale non si svela. O forse no. Morale: mai fidarsi delle apparenze.
Non è irreale è solamente che stiamo a teatro dove regna il paradosso e dove l’ossimoro sembra il termine che più e meglio si può legare al termine teatro, diventandone quasi sinonimo.
Il minimo comune denominatore di tutto è: la disattesa delle aspettative. Non prefiggersi troppi obiettivi e scopi, non possiamo sempre riuscire a calcolare tutto. Per non rimanere disillusi.
Tutto diventa più facile se sul palco c’è l’improvvisazione di Daniela Amato: regista e attrice, doppiatrice. Esperta di teatro, danza e canto. Formatasi alla Libera Accademia dello Spettacolo diretta da Paolo Ferrari, Ennio Coltorti, Anna Mazzamauro, ha partecipato a varie fiction televisive ed è stata Veejay per alcuni canali musicali. Ed allora viene automatico esclamare: “sembra di stare in televisione”.
Tanto più se, poi, è affiancata da Francesco Falabella. Oltre ad aver lavorato in teatro (fra gli altri, con La Compagnia della Rancia, con Saverio Marconi, con Patrick Rossi Gastaldi e Gianluca Ferrato), infatti, ha ricoperto anche ruoli in alcune fiction televisive, tra cui “Un posto al Sole”, “Centovetrine”, “La Squadra” e vanta alcune interpretazioni cinematografiche, oltre a numerose pubblicità.
Il tutto, “infiocchettato”, dalla mano magica di Paolo Camilli.
Lavora in teatro, partecipa a vari cortometraggi e spettacoli d’improvvisazione e, nei vari laboratori comici a cui prende parte, inventa alcuni personaggi ispirati a personaggi famosi. Ballerino di Rock’n’roll acrobatico, Twist e Boogie Woogie a livello agonistico.
Esperto, dunque, anche di regia cinematografica, contribuisce ad incorniciare e confezionare il film sullo spettacolo della vita di ognuno fatta del“le piccole cose”, che ne fanno “un amore di spettacolo”, perché l’amore, come tutte le passioni, si nasconde, si infonde e nasce dai piccoli gesti, dai piccoli grandi eventi quotidiani. Dalle piccole cose appunto, che costituiscono l’essenza della nostra esistenza e della nostra persona e personalità.
Tutto questo e molto altro è “Le piccole cose – Un amore di spettacolo“ di Daniela Amato.
Una sorta di esempio alto di teatro degli equivoci.
Teatro hOFF: www.teatrohoff.it
di Barbara Conti